Le Comunità Energetiche Rinnovabili stanno diventando una realtà sempre più presente nel territorio italiano. Sono tanti, infatti, i cittadini che decidono di inquadrarsi sotto forma di associazione per iniziare a godere dei vantaggi fiscali che ne derivano, a partire dal rimborso sulle spese per installare un impianto fotovoltaico fino agli incentivi riconosciuti sull’energia prodotta e consumata.
In un articolo abbiamo già illustrato il funzionamento delle Cer e i requisiti per entrare a farne parte, adesso andiamo invece a fare chiarezza su alcuni dubbi che possono sorgere.
È consentita la condivisione dei dividendi fra i membri delle Comunità Energetiche Rinnovabili?
Uno dei requisiti per creare una Cer è che questa non deve avere la produzione di profitti finanziari come obiettivo primario. Tuttavia, nello statuto di una Comunità Energetica deve essere indicato che questa è tenuta a produrre benefici economici, ambientali e sociali. Con una clausola simile si rende chiaro che la produzione di profitti finanziari non è la finalità principale, ma è semplicemente uno dei benefici che derivano dalla comunità, in questo modo i profitti possono essere distribuiti fra i membri nei modi in cui è ritenuto opportuno.
Ma se ci fosse ancora qualche perplessità, c’è di più. Il dubbio sulla liceità della spartizione dei dividendi era sorto per via dell’articolo 8 c.2 del Codice del terzo settore che vieta la distribuzione di utili tra i membri di un ente non commerciale. È stata la stessa Agenzia delle Entrate a precisare che la restituzione ai membri delle somme percepite non viola questo divieto, in quanto la Cer le incassa su mandato dei membri. Le somme ricevute, in questo modo, non costituiscono utili (non ancora) e possono essere divise fra i membri nel modo previsto dallo statuto.
Solo una volta che saranno ricevute dai membri queste somme avranno una rilevanza reddituale.
Una Cer è obbligata a far partecipare chiunque ne faccia richiesta?
Quello della massima apertura è uno dei requisiti delle Comunità Energetiche, tuttavia ciò non impone che debba essere ammesso chiunque ne faccia richiesta.
Può capitare che ci siano alcune restrizioni o vincoli (ad esempio territoriali) che sono presenti nello statuto, come la necessità che i membri facciano tutti parte di una determinata area geografica o che tutti debbano essere collegati alla stessa cabina. Insomma, ci sono vari motivi per cui una Comunità possa in qualche modo limitare l’accesso a determinati richiedenti che sono ogni volta da valutare caso per caso.
C’è da dire, però, che ai sensi di ciò che ha stabilito la Comunità Europea, gli stati membri devono garantire anche alle fasce di popolazione più vulnerabile la possibilità di entrare a far parte delle Cer, persino ricorrendo, in casi particolari, ad agevolazioni fiscali come la rateizzazione della quota richiesta ai nuovi partecipanti.
La garanzia di autonomia delle Comunità Energetica Rinnovabili
Un altro requisito imprescindibile delle Comunità Energetiche è che debbano garantire l’autonomia, nel senso che non devono dipendere dalla partecipazione e del sostegno di alcuni dei membri.
Una situazione del genere, ad esempio, si potrebbe creare se un’amministrazione comunale mettesse a disposizione dei terreni o degli impianti a disposizione dei membri. In un caso così, è indispensabile che il comune sia vincolato per tutto il tempo della vita degli impianti di produzione di energia.
Il mantenimento del principio di democrazia
La ricerca sulle Comunità Energetiche Rinnovabili rivela che, sebbene siano spesso associate all’idea di cittadinanza attiva e al coinvolgimento diretto della comunità locale, il loro funzionamento reale può essere diverso. Nel caso delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) che gestiscono piccoli impianti solari, costituite solitamente come associazioni informali, la maggior parte dei membri partecipa attivamente alla gestione. Tuttavia, quando si tratta di impianti più grandi, la gestione tende a concentrarsi nelle mani di un gruppo ristretto di membri, mentre la maggior parte degli altri aderenti si limita a versare il contributo e a godere dei benefici senza coinvolgimento attivo.
Con la crescita dell’organizzazione e della complessità degli impianti, le comunità energetiche si affidano sempre più a professionisti, mentre il numero dei membri che partecipano in modo passivo aumenta. Questo modello di gestione rispetta formalmente i requisiti europei di controllo effettivo, purché la maggioranza dei membri abbia il potere di eleggere la maggioranza degli amministratori.
In alcuni casi studiati, tuttavia, l’eccessiva libertà organizzativa riconosciuta a queste comunità porta a violazioni del principio di democrazia interna. Un esempio tipico è quello in cui i proprietari degli impianti, rappresentanti una piccola minoranza dei membri, detengono la maggioranza dei voti, potendo quindi eleggere tutti gli amministratori. Secondo i risultati della ricerca, questa pratica contrasta con il principio di controllo effettivo, poiché dovrebbe essere la maggioranza dei membri a poter eleggere la maggioranza degli amministratori. Di conseguenza, il Gestore del Servizio Energetico (GSE), nel valutare le domande, non dovrebbe approvare strutture che non rispettano questo criterio.
Conclusione
Le Comunità Energetiche Rinnovabili potrebbero essere delle realtà sempre più presenti, soprattuto nei piccoli comuni al di sotto dei 5000 abitanti in cui si può usufruire del prezioso contributo a fondo perduto del 40% per la realizzazione di nuovi impianti fotovoltaici. Noi di Illumina Consulting abbiamo abbracciato questa iniziativa decidendo di investire tempo e risorse in progetti ad essa legati, qui potrete trovare la pagina del nostro sito dedicato interamente alle Cer. Tramite questo link invece troverete tutte le info che vi servono per scoprire nel dettaglio cosa sono le Comunità Energetiche.